Il presente non basta a nessuno

Le persone si incontrano per rinascere.
Nascere non basta mai a nessuno
(Arminio)

“Bologna è una sfera di quelle bellissime con la neve dentro, molti sostengono che andrebbe accarezzata, io preferisco scuoterla”.

Sabato 24 febbraio 2024 abbiamo aperto la campagna elettorale del Partito Democratico per le amministrative del giugno prossimo con Matteo Lepore, Sindaco di Bologna, un appuntamento che conclude il gran lavoro di rielaborazione collettiva del programma e lancia l’ultima fase della campagna elettorale, quella dove gli ideali devono incontrare il consenso di chi vota.

Mi è stato chiesto di introdurre il dibattito e mi sono preso la libertà di fare qualche riflessione sulla politica locale italiana in un parallelo tra una città metropolitana come Bologna ed una piccola città come Fidenza.

Si può fare i sindaci in tanti modi, privilegiando l’attività amministrativa o quella puramente simbolica, organizzando convegni o pulendo le strade. La stragrande maggioranza dei Sindaci italiani governa città così piccole che il loro mestiere si risolve nell’organizzare il geometra e il ragioniere del Comune, eletti in posti così distanti dai centri di offerta di servizi essenziali che solo se ci si vive si può capire perchè sono soggetti a spopolamento.
L’Italia non è fatta da Bologna, Milano, Torino, Roma.. ma da Gaggio Montano, Berceto, Monzuno, Fidenza… ma l’arte della politica nasce dalla cultura, non dalla tecnologia, dalla capacità di organizzare ed elevare a migliori sorti coloro che senza politica risolverebbero i conflitti con la forza.

Se ci pensate la cultura del vivere insieme si è modificata molte volte: si fumava nei cinema, nei ristoranti, negli uffici, perfino sugli aerei, si andava in moto senza casco, non si usava la cintura e la raccolta differenziata sembrava impensabile. Poi tutto cambia e la sola idea che prima si facesse quello a cui eravamo abituati ci appare al limite dell’eresia. Questa è la visione.

Sono d’accordo con chi dice che la politica di centro-sinistra può rinascere dai Sindaci, ma non tanto per la sua atavica famedi leadership, quanto al contrario perché nella dimensione locale si possono intercettare i bisogni degli ultimi per tutelarli, per farli crescere dentro un contesto sempre più grande e trasformare le debolezze in punti di forza.
Sviluppare una visione che parta dal basso e farla diventare una missione.

Diceva il filosofo Max Weber che “è confermato da tutta l’esperienza storica che il possibile non verrebbe raggiunto se nel mondo non si tentasse sempre l’impossibile” Decidere di limitare la velocità di una strada, chiuderne al traffico un’altra, organizzare una cerimonia per il riconoscimento della cittadinanza onoraria ad un bimbo nato da genitori immigrati dal nord Africa, ampliare il sostegno ad una mensa della Caritas o ad un provvedimento regionale sui centri estivi, concedere una stanza del patrimonio pubblico ad una specifica associazione, permettere o negare l’insediamento di un quartiere commerciale o artigianale, sono tutti gesti amministrativi che sono animati da una visione politica che ha un enorme potere narrativo. La magia della politica amministrativa stia nel risolvere i problemi, o comunque nel cercare di farlo negando la sua natura di corpo immobile ed immutabile, perchè una città cambia e muta, dipende da come è governata, da come viene vissuta.

Fidenza nel suo piccolo e grazie alla sua posizione è oggetto di migrazione interna da anni, che venga dalla bassa, dall’appennino o dal sud Italia poco importa, è nella sua natura essere fertile, non potrebbe essere diversamente, scossa com’è da continui stimoli di rinnovamento. Allo stesso tempo il suo benessere, che oggi sta sul crinale di un salto generazionale difficilissimo da gestire, ha prodotto una popolazione agiata e sempre più anziana. Ciò significa che anche a Fidenza gli abitanti di una certa esperienza calano e significa che il domani non lo si costruisce domani, ma oggi, i problemi che avremo tra vent’anni si devono affrontare ed eventualmente risolvere o correggere adesso.

Anche nelle nostre città democratiche il divario tra i più ricchi e tutti gli altri si sta ampliando, e i cambiamenti demografici e climatici stanno creando sfide praticamente per chiunque.

La politica che ci piace deve sostenere di più i lavoratori, non di meno, e affrontare i fattori che rendono il lavoro troppo insicuro, deve costruire una rete di sicurezza più forte perchè la tecnologia riduce il numero di ore di lavoro necessarie e nel tempo che lasciano libero le persone devono trovare nuovi scopi senza perdere reddito, deve ragionare su nuove leve fiscali perchè queste riforme si pagano con tasse e le tariffe proporzionali al reddito e alla ricchezza. E soprattutto deve saper cogliere la sfida della crescita sostenibile: se improvvisamente e magicamente tutti avessero tutto quello che hanno i pochissimi il pianeta morirebbe il giorno dopo perchè la nostra economia cerca di crescere infinitamente in un mondo a risorse finite.

Per fare questi passaggi la politica ha bisogno di tornare ad essere collettiva, organizzata da corpi intermedi che si dedicano alla produzione e alla trasmissione di contenuti e metodi, gruppi di persone che prendono parte.

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Le domande (aperte):
1. viviamo tempi molto incerti che sembra non abbiano nessuna voglia di chiarirsi o concederci prospettive rasserenanti. Certamente questo è in parte dovuto al filtro iper nostalgico che le incertezze ci impongono, perchè di cose positive ne capitano tutti i giorni praticamente ovunque solo che non riescono a tagliare il rumore bianco della disperazione, ma in un futuro prossimo chi sceglie di governare una città in nome degli altri o delle altre dovrà interpretare un’economia che produce sempre maggior povertà in sempre più ampie categorie sociali (e che francamente ha anche un po’ rotto le palle), una tendenza demografica che ci sta pian piano portando verso il primato mondiale di concentrazione di persone anziane (un primato che abbiamo già in Europa), un ambiente che al netto della evidente importanza delle scelte mondiali in ogni caso può essere molto modificato anche partendo dal basso (soprattutto in una delle Regioni con più consumo di suolo in Italia), un’urbanistica che deve saper conciliare crescita, le popolazioni continuano ad aggregarsi, con la gestione della complessità e la tutela del paesaggio. E parlo di interpretazione proprio perché ognuno di questi temi può essere visto sotto punti di vista differenti; prendi la demografia, che è uno dei più sottovalutati: molti scrivono che oggi la nostra vita è molto più lunga e sicura che in passato e che siamo troppo prigionieri delle nostalgie. Nel 1922 la vita media degli italiani era di 50 anni. Oggi è di 80,5 anni per gli uomini e 85 per le donne. Eppure questo vorrà anche dire che perderemo nel 2080 avremo circa 13 milioni di abitanti in meno, quasi tutti lavoratori, quasi 2.200.000 persone con almeno 90 anni e 150.000 persone con almeno 100 anni.
Come saranno, chi abiterà le città saranno quelle che stiamo preparando oggi?

2. A proposito di giovani e di una operazione che abbiamo provato a mutuare anche qui prendendola da Bologna, i centri estivi una volta erano una cosa che la facevano i ricchissimi (che andavano chissà dove o nelle residenze che le imprese innovative avevano costruito in collina) oppure chi non aveva nessun posto migliore in cui passare l’estate. Ora sono una specie di esigenza. Garantirne il funzionamento e arricchirne la proposta per non renderli parcheggi.

3. Le strade sono l’80 per cento dello spazio pubblico delle nostre città. Eppure, vivere quello spazio è ancora pericoloso: in Italia ogni anno rimangono ferite in strada un numero di persone pari agli abitanti di Padova o Trieste. Nel 2021 l’Istat ha registrato più di 200mila feriti e 2.875 vittime di incidenti stradali. Più della metà delle morti avvenute in città è dovuta a sole tre cause: eccesso di velocità, guida distratta (dai telefonini) e mancata precedenza ai pedoni sulle strisce. Solo nei primi quattro mesi del 2023 sono stati investiti 135 pedoni, più di uno al giorno. Abbiamo macchine sempre più grandi, sempre più larghe, sempre più silenziose (non ci si accorge di andare velocissimi) e guidatori che sono sempre quelli, strade ormai troppo piccole per una ciroclazione a doppio senso e parcheggi pieni di auto che non vengono mai messe nei garage perchè questi sono diventati degli uffici o dei monolocali. O delle cantine. Che cos’è una città a 30 km/h? Cosa cambia nelle sue funzioni principali? La trasformazione può essere portata verso i centri più piccoli o è una prerogativa delle grandi metropoli che hanno spazi da differenziare e fondi da destinare alla riqualificazione?

4. Quante opportunità di cittadinanza ci offre, oggi, lo spazio pubblico urbano? Quanto spesso abbiamo occasione di sperimentarci, insieme ad altri, in azioni pratiche dove le nostre necessità trovano soluzioni che chiamano in causa gli assetti sociali più generali e i bisogni degli ‘altri’? Da tempo le pratiche associative, anche loro in crisi, e la partecipazione sociale non alimentano più il circuito della rappresentanza politica. Le liste si chiudono a fatica, spesso con le stesse persone e la domanda di futuro rimane drammaticamente separata dalla sua offerta e la chiusura nel presente alimenta una politica della paura e della rabbia, dove conta la distanza guadagnata da chi è più debole. Come può contribuire, una città, alla promozione di queste pratiche? La politica che mette le persone al centro le vuole coinvolte, accoglie la dialettica, non ha paura del conflitto, ricerca l’attivismo. La politica incapace e cialtrona, che cerca il potere per il potere, preferisce il cittadino disinformato, disimpegnato e muto. è una cosa che può fare l’opposizione? Dove è finita l’opposizione?

Autore: marcogallicani

www.gallicani.it

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