La piccola democrazia dei piccoli Comuni è in difficoltà da anni.
Provo a non farla troppo lunga, ma se si esclude la propaganda dei social e degli addetti stampa gli elementi per giudicare l’operato di un sindaco sono sempre meno e ormai pochissimi. Di più: molti di loro appartengono alla sfera dell’opinabile come del resto tutta la politica genericamente intesa.
I sindaci sono sempre più isolati dal contesto cittadino e, […] per quanto si possa accettare il mandato come una sfida temporanea e assolutizzante, è davvero difficile credere che un singolo eletto (il sindaco), assieme a 4 suoi delegati (la giunta) e a 10 volontari occasionali (i consiglieri), possa governare la città coi bei vecchi metodi della delega.
Insomma la classica e ripetitiva frasetta da social network del “li ho votati per vedere cosa fanno e se non ne sarò soddisfatto non li voterò più” è un nonsenso, una roba detta a caso.
Per quanto ne siano i massimi responsabili, i sindaci non hanno ad esempio quasi più alcuna possibilità di agire sulle imposte locali e l’unica variabile di prelievo è ormai nei servizi a domanda, tipo gli asili, le mense o i pedaggi. E le multe, se la società che gestisce le riscossioni è brava. La stessa pianificazione territoriale è ormai quasi tutta nelle possibilità del dirigente, che se per caso (o per davvero) ama mettersi di traverso può tranquillamente trasformare una legislatura in una lunga battaglia tra avvocati.
Questa cosa negli anni ha seriamente segnato la nostra struttura istituzionale, al punto che alcuni si spingono a dire che la cittadinanza stessa rischia di venirne compromessa: se infatti non posso giudicare un sindaco dalla sua responsabilità fiscale, se cioè non posso stabilire alcun legame virtuoso tra quanto mi preleva e quanto spende nei servizi, il mio voto è indirizzato inesorabilmente dai meccanismi della tattica e della spregiudicatezza di chi gestisce la campagna elettorale.
Avevo detto che non la facevo lunga, ma insomma ci siamo accorti quasi tutti che anche nei comuni medio piccoli come Fidenza, che sono il vero sistema nervoso periferico dell’Italia, le persone vanno sempre meno a votare, men che mai lo fanno volentieri e se lo fanno sono guidati dalla fuffa. Per non parlare del sottovuoto spinto che c’è tra un’elezione e l’altra.
Questa cosa può essere semplicemente annotata, e magari si può adattare la propria linea sui sempre meno che si interessano a quello che succede, oppure provare a correggere la tendenza, con pazienza.
Perché possa svolgere il suo ruolo un Comune è infatti “necessariamente partecipativo”, soprattutto nel contesto che ho provato a descrivere sopra, quello che tende al generico “capisco solo a quel che voglio”, parte di una democrazia del pubblico, in cui i politici dipendono dall’attualità e dai sondaggi.
Le Regole per la partecipazione approvate a Fidenza servono proprio a questo:
1) aiutano a riconoscere i concetti, la base normativa generale e i principali strumenti della democrazia partecipativa per evitare che vengano scambiati per partecipativi in senso proprio dispositivi che non lo sono, e si rischi di limitare le possibilità di processi che il sistema consente e opportunità politiche, sociali e amministrative richiedono.
2) dettano le linee per l’istituzione e la conduzione di esperimenti partecipativi che tornino a coinvolgere i cittadini, a chieder loro un contributo in tempo, saperi e competenze diffuse che rimetta in fase la tensione delle comunità locali, valorizzando tutte le forme di impegno civico.
Lo sappiamo (e se vi serve potete dire che lo diceva anche Habermas in un testo del 1962) che l’opinione pubblica è stata fondante per la definizione della modernità. Il sociologo diceva che questa “deve avere il diritto di discutere e criticare gli atti del potere pubblico e di esigere per questo la pubblicità degli atti, delle decisioni, dei dibattiti”.
Purtroppo i social networks hanno esasperato questo potere, rendendolo impalpabile, e quindi fondamentalmente inutile.
Dare loro un fondamento pratico serve a coagulare le tante volontà attorno a buone pratiche collettive, e contribuisce a rinnovare la democrazia e le sue istituzioni, integrandole e contribuendo ad una più elevata coesione sociale.
Si tratta di imparare facendo, di sperimentare forme di trasferimento della conoscenza, di valorizzare quelle capacità che tengono vive, e vivaci, le sinapsi di quel sistema nervoso periferico che sono i piccoli comuni, accompagnando e non sostituendo il meccanismo della delega, in crisi e sottoposto alle dinamiche prevaricatorie e agli algoritmi dei social networks.
Ben consapevoli che la partecipazione è uno stile forse più che un metodo e che se diamo ragione a Bobbio (dopo smetto, lo giuro) quando dice che “la democrazia può essere descritta come il governo del potere visibile, il governo del potere pubblico in pubblico”, (e se ci pensate è così, la pubblicità degli atti del potere rappresenta il vero e proprio momento di svolta nella trasformazione dello stato moderno da assoluto a stato di diritto) allora anche scrivere una delibera in un linguaggio comprensibile diventa un gesto rivoluzionario.
1 commento su “La piccola democrazia dei piccoli Comuni”